<< Mi piace viaggiare >>.
Questa è la prima frase che mi dicono ad ogni appuntamento al buio quando nello small talk per rompere il ghiaccio chiedo alla bella – ma molto spesso "simpatica" – ragazza di turno cosa le piace fare nel tempo libero.
Sarà che proprio viaggiando ho imparato ad apprezzare lo stare a casa, il dolce far nulla di un periodo di ferie con la pancia all'aria e il cervello in retromarcia. Non che limiti i miei viaggi o possa dire che a me non piaccia farlo, intendiamoci, ma mi sorprende sempre come il viaggiare sia considerato da praticamente tutti uno degli obbiettivi principali della vita.
Karr diceva (almeno come riportato su più fonti) che "si viaggia per dire di aver viaggiato" e non credo che si discosti molto dalla realtà di molte persone.
Non voglio accusare indistintamente chiunque di viaggiare solamente per moda o per rompere le palle a chi al ritorno degli stessi dovrà sorbirsi foto e racconti terribilmente noiosi sulla scoperta della chiesetta che-solo-loro-hanno-visto del paesino che-solo-loro-hanno-visitato sentendosi pionieri di un'altra epoca in cui viaggiare era un'avventura e non un intrattenimento tra una connessione al wifi del mcdonald e il wifi dell'albergo.
Non voglio nemmeno accusare la ragazza che ho di fronte se vuole sembrare più interessante dicendo che viaggia. Giustamente, dato che anch'essa vive nel mondo moderno, immaginerà che chi ha di fronte metta nella propria top 3 di "cose da fare prima di schiattare" visitare tutti i continenti e guardare più mondo possibile.
Condizioni.
Ecco la parola che quel che resta della società attuale non riesce ad ammettere di avere: condizioni. << Viaggio a determinate condizioni. >>
Quando andavo ancora a scuola vedevo il viaggio come un'avventura da vivere alla mano, privo di preventivate organizzazioni (e organizzatori) lasciavo Roma sentendo l'indipendenza incombere su di me come una liberazione dalla routine quotidiana.
Al tempo dell'università le condizioni erano un gruppo di amici, prenotare in anticipo per risparmiare soldi, conoscere prima della partenza i punti di interesse da visitare e avere l'obbiettivo di divertirsi ed evitare di pensare allo studio.
Adesso le condizioni sono aumentate. Con un lavoro ci si possono permettere comodità superiori: dall'ostello in camera multipla si passa alla stanza d'hotel, si prendono a nolo automobili per esplorare la costa, si cerca una spiaggia attrezzata, si cena al ristorantino di classe ma a prezzi contenuti, si cerca di godersi il viaggio ma senza dimenticare cosa si è diventati.
Se queste condizioni venissero meno mi piacerebbe che qualcuno riuscisse ad ammettere candidamente: << No guarda, se devo viaggiare in questo modo preferisco rimanere a casa. >>
(Avvertenza: 'preferisco rimanere a casa' è la frase meno indicata da usare in un appuntamento al buio, anche se la ragazza è veramente straordinariamente molto simpatica)
Qualcuno potrebbe contestarmi che il mio pesaculismo stia arrivando a livelli eccelsi, temendo la poca raccomandabilità del viaggiare con me. Eppure il fatto di non farsi mancare nulla, nemmeno in viaggio, dovrebbe essere la dimostrazione di come viaggiare per me non significhi solamente dire di aver viaggiato, quanto aver provato il piacere di trasferire la mia vita altrove. Questo è il mio personalissimo significato di viaggiare che probabilmente, nel corso della mia vita, assumerà altre e nuove condizioni.
Ad ogni modo, domani parto, alberghetto al centro, automobile di un amico, spiaggiona di sabbia individuata da google maps e tripadvisor pronto per i ristorantini serali.